L'India non è la Svizzera, il paese della cioccolata. È un girone dantesco che neanche Alighieri sarebbe in grado di descrivere appropriatamente. Chi viene dovrebbe lasciare nel suo Paese l'arroganza che contraddistingue gli occidentali e portare condiscendenza, una elevata stima per il prossimo, soprattutto per gli umili a cui elargire sorrisi per riceverne duplicati. Sarebbe utile tuttavia tenere presente che, ovunque si andrà, nelle strade come nei luoghi di culto o nei bazar, un miliardo e 300 milioni di persone saranno intorno a noi. Tutta quell'umanità si percepirà sulla pelle, incrociandone gli sguardi. Sarebbe utile tenere presente anche che, sin dalle origini fino a qualche decennio fa, l'India è stata soggetta a scorribande e conquiste da parte di domini stranieri e, se i Grandi Moghul hanno lasciato di bello il Taj Mahal (e tanto ancora), altri conquistatori hanno preso molto e lasciato poco, come gli ultimi, gli inglesi, la guida stradale a sinistra e poco più. L'indigenza che si può osservare ne è anche la conseguenza.