All'alba di un giorno del mese di ottobre del 1901 Marcel Schwob parte da Marsiglia su una nave diretta a Ceylon; da lì proseguirà per l'Australia e poi la Polinesia. È diretto verso le isole Samoa, e più precisamente ad Apia, la capitale dell'isola di Upolu. Ma quale ragione conduceva uno scrittore così raffinato e così "cittadino", anzi implacabilmente parigino, ad affrontare, pur gravemente malato, un simile viaggio? Nel 1884, a diciassette anni, aveva letto per la prima volta un romanzo di Robert Louis Stevenson, "L'isola del tesoro", pubblicato l'anno prima e subito tradotto in francese. Stevenson dunque irrompe nella sua vita sotto il segno dell'avventura, riflesso di un mondo diverso e più libero, perturbante e affascinante proprio per la sua distanza nel tempo e nello spazio. Dirà più tardi, in un saggio dedicato proprio a Stevenson: "Ricordo chiaramente la specie d'emozione in cui mi gettò il primo libro di Stevenson che ho letto. Era 'L'isola del tesoro'... Capii allora che avevo subito il potere di un nuovo creatore di letteratura e che il mio spirito sarebbe stato ossessionato da immagini dai colori mai visti e da suoni non ancora ascoltati".