Nel 1936, mentre sull'Europa già incombeva lo spettro della guerra, Karel Capek intraprese con la moglie il suo ultimo grande viaggio, attraversando la Danimarca e la Svezia con la ferrovia per proseguire in battello lungo le coste norvegesi fino a Capo Nord. Una meta sognata fin dall'adolescenza grazie al fascino delle imprese polari di Amundsen e Nansen e ora finalmente raggiunta, per il desiderio di conoscere da vicino i luoghi dei grandi scrittori della letteratura nordica. La dolcezza della pianura danese - un idillio bucolico di «poppe piene, frumento e grassi pascoli» - la calma delle foreste svedesi - che sembrano rivelare la placida neutralità del paese - e la severa, nuda roccia dei fiordi norvegesi ispirano a Capek pagine pervase da un sincero, incantato lirismo. La meraviglia davanti ai paesaggi da sogno, non diversa da quella che si prova ai nostri giorni, è temperata da uno humour talvolta beffardo che si appunta in particolare nella descrizione dei personaggi incontrati: un vecchio marinaio alcolizzato, un gruppo di lapponi in costume che tentano di vendere la loro paccottiglia, un predicatore americano con il suo codazzo di attempate signore che imperversa con insopportabile entusiasmo rendendo impossibile la convivenza sulla nave. Il resoconto è inframezzato dai disegni dello stesso Capek, la cui semplicità di tratto è lo specchio della precisione descrittiva e ne amplifica la bellezza: i profili dei monti, le forme degli alberi, il labirinto dei fiumi e dei laghi, i moli, le case di legno. Ma su tutto domina la magia della luce del Nord, il lento trascolorare del tramonto verso una nuova alba sotto il sole di mezzanotte, al di là del settantesimo parallelo.