Si tratta di una serie di divertenti storielle bresciane. Si capisce fin dalla scelta del titolo: «Fam mia rider». L'espressione «non farmi ridere», il più delle volte, suona come un caldo invito a non dire scempiaggini, ma altre volte la si tira fuori proprio per sottolineare che qualcosa ci ha colpito e divertito. Gli austeri bresciani hanno un chiarissimo rapporto con ciò che esce dalla bocca. Innanzitutto dividono le faccende del mondo in «robe dè rider» e «robe dè pianser» soprattutto quando prendono in considerazione qualcuno avvertendo che quel soggetto «l'è mia dré a daga aria ai dencc». Il bresciano doc lascia perdere le tristezze - meglio non evocarle, visto che il mondo è brutto già per suo conto - ed evita «èl rider per gnent» o «èl rider sforsàt». Diventa invece felice se incontra uno spiritoso. Allora «èl ga rid a i caei». In mancanza di una ricetta per far ridere o solo sorridere con certezza, si può tentare un'altra strada. Ed è quello che ha fatto l'autore: da storico, che va a ricercare non solo i grandi fatti della vita ma anche le quisquiglie, ha cercato di recuperare ciò che nel tempo ha divertito i figli della Leonessa. Non tutto, ovviamente, essendo il terreno da sarchiare ampissimo, tanto che questo libro potrebbe essere il primo di una serie. Ecco quindi battute dal Guasco canossiano, storielle dello sferzante Frustino dei cattolici e dell'irriverente Spiffero. Alla rinfusa ecco riproposte le battute degli uomini e delle donne di spirito.