Sorta di specchio ed equivalente dell'esistenza, il teatro di Testori affronta - forse più del resto della sua produzione - i nodi ineludibili della condizione umana e costituisce la chiave di volta che sorregge l'opera di questo autore. Nella Trilogia degli scarrozzanti ritroviamo, riscritte e trasfigurate, tre opere fondamentali della drammaturgia occidentale: Amleto e Macbeth di Shakespeare e l'Edipo di Sofocle. Prendendo spunto da queste tragedie, Testori ne distilla i motivi che percorrono e agitano da sempre la sua produzione: ed ecco quindi, nell'Ambleto, un discorso sulla sessualità e il potere portato all'estremo e il confronto con il mistero della nascita; nel Macbetto un tormentoso interrogarsi sul male e sul suo legame originario e inscindibile con la vita; nell'Edipus, infine, la parabola di un soggetto portatore inconsapevole di valori alternativi rispetto a quelli costituiti, manifestazione di un conflitto tra padre e figlio e di un anelito al ricongiungimento con il ventre materno, legato al ciclico rinnovarsi della natura. Per reinventare questo teatro, Testori inventa una lingua straordinaria, "gloriosamente e oscenamente viva, allestita con i resti di tutte le lingue morte o agonizzanti del mondo" - secondo la definizione di Raboni. È l'idioma degli scarrozzanti, appunto, compagnia itinerante di guitti, stracciona e sublime nella sua degradazione, che, insieme alle tragedie di Shakespeare e Sofocle, mette in scena se stessa e il proprio presente.