Da una parte la virtus, il valore militare, dall'altra la fortuna, il caso: due elementi apparentemente incompatibili che pure, grazie alla potenza di Roma, si unirono andando a formare quell'impero che, tra il 60 e il 90 d.C, il greco Plutarco definì in uno scritto retorico «la più bella delle opere umane ». Certo, l'Impero romano fu una costruzione politica ed economica complessa quanto vasta: Virgilio e gli altri autori augustei non esageravano quando facevano coincidere il mondo conosciuto con il territorio controllato dal popolo romano e dal suo princeps - detto anche imperator in quanto comandante supremo - uno spazio percorso da popoli assai differenti tra loro e diversamente assoggettati. Questa esperienza politica, per lungo tempo vincente, avrebbe lasciato il segno al punto da venire richiamata, molti secoli dopo, in contesti del tutto avulsi dall'originale quali il colonialismo britannico, l'imperialismo americano, o anche l'impero coloniale italiano. Riproponendo in positivo o in negativo delle domande analoghe a quelle che si posero i romani, si è giunti a parlare di un nuovo Imperium. Ma quali sono i confini di questo impero, e soprattutto le sue limitazioni politiche? Quali le regole per acquisire la cittadinanza in un contesto caratterizzato dal meticciato, dalle plurime appartenenze religiose ed etniche? Quanto conta la forza e quanto il consenso, quanto infine il ruolo del condottiero? Muovendosi agilmente tra passato e presente, tra racconto dell'antichità e analisi della contemporaneità, Giusto Traina ci consegna una riflessione su temi di grande attualità: la natura della leadership, il rapporto tra potere e libertà, le radici dei sogni imperiali che ancora oggi insanguinano l'Europa.