La visione della morte come fine inappellabile, propria dell'epica, era complementare alla concezione di uomo di Omero e di Esiodo e si mantenne a lungo inalterata nel vissuto del greco arcaico. Nell'arco di circa tre secoli (VI-IV a.C.) questa certezza venne meno e ciò a causa dell'accresciuta valorizzazione dell'essere umano dovuta a fattori eterogenei: l'aumentata mobilità via mare e via terra, l'alfabeto fonetico, le innovazioni politiche, la sensibilità introspettiva della lirica, la riflessione delle Scuole sapienziali (i cosiddetti "presocratici"), i contatti con le culture limitrofe e il ravvivarsi degli antichi culti misterici. Questi diversi stimoli culturali favorirono una più profonda visione antropologica e, conseguentemente, una concezione della morte vista non più come fine, ma come passaggio di soglia.