Ci sono luoghi che per qualche misteriosa ragione sembrano poter riassumere in sé l'essenza di una cultura, di una storia, di un mondo talvolta. Il Chelsea Hotel è uno di questi. Un grande palazzo di dodici piani in mattoni rossi, con balconi in ferro battuto e finestre a bovindo, situato al 222 della 23esima Ovest, nella zona di Chelsea, a Manhattan. Questo edificio, appariscente e anonimo al tempo stesso, è il luogo da cui sono partite le fiammate più violentemente creative della musica, della letteratura, dell'arte americana dell'intero Novecento, da Edgar Lee Masters ai Rolling Stones. E anche il luogo dove il sogno visionario più facilmente si è venato di eccessi autodistruttivi. Pionieristico esperimento di vita comunitaria ispirata alle idee del socialismo utopista di Fourier, il Chelsea diviene fin dai primi decenni del secolo un crocevia di artisti di ogni genere e provenienza. Estro e follia, arte e letteratura, cinema e musica, ricchezza e povertà, successi planetari e fallimenti miserabili, esaltazioni estetiche e abuso di sostanze vi si mescolano senza sosta: fra i suoi corridoi nascono, lavorano, amano e si consumano generazioni intere di personalità creative, tanto che qualsiasi lista di celebrità sarebbe riduttiva. Antonin Dvorak, Mark Twain, Thomas Wolfe, Virgil Thomson, Gore Vidal, William Burroughs, Allen Ginsberg, Tennessee Williams, Bob Dylan, Janis Joplin, Jackson Pollock, Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Patti Smith, Robert Mapplethorpe...