Senza alcun dubbio, la questione palestinese ha una storia che affonda nella notte dei tempi. Tuttavia, per le finalità di questo scritto non serve andare troppo in là, perdendosi nell'oscurità di quella notte. Infatti, volendo iniziare a tirare le fila degli avvenimenti odierni è sufficiente prendere un punto di partenza molto più vicino a noi, nei mesi immediatamente precedenti allo scoppio della Grande Guerra. È in ogni caso un lungo tracciato umano segnato da sangue, vendette, rivendicazioni e incomprensioni. Ma anche punteggiato da vari giochi politici e diplomatici che ne hanno costellato lo sviluppo con tante occasioni perse. Sempre che queste occasioni non le si volesse perdere di proposito. Ma prima di pensare di poter identificare il responsabile o i responsabili di tali fallimenti è necessario, e consigliabile, sfogliare queste pagine. Oggi, in una società occidentale, libera, democratica, avanzata in termini di progresso e sviluppo e, quindi, più ricca di altre, il pericolo che si corre è la semplificazione via via più accentuata dei processi volti a comporre il pensiero per dare un senso ai fatti. Tendenza che invoglia ad affidarsi quasi esclusivamente a modi di dire, slogan e posizioni preconfezionate secondo modelli partigiani che, per via della schiavitù ai social e della frenetica comunicazione, spingono il pubblico in mondi tanto separati tra loro da rendere difficoltoso persino il semplice e onesto confronto di opinioni. Realtà diverse basate su riporti troppo spesso distorti, sui quali non si vuole o non si ha tempo di approfondire, finendo per attribuire torti e ragioni in modo arbitrario. La questione palestinese ne è un esempio. Non andando tanto lontano nel tempo, prima le promesse formulate agli arabi, poi la dichiarazione Balfour e l'accordo Sykes-Picot sono le iniziali fasi pasticciate di questa storia dolorosa. Una matassa ingarbugliata che sembrava si potesse dipanare, finalmente, nel 1947, con la Risoluzione 181 che indicava la ripartizione della Palestina in tre parti: uno Stato arabo, uno Stato ebraico e la città di Gerusalemme come entità separata con un corpo governativo internazionale. Gli incidenti susseguenti, degenerati poi in una vera guerra, la prima arabo-israeliana, sarebbero stati l'inizio di una lunga scia di altri conflitti e di violenze che si sono trascinati sino ai nostri giorni. Ma anche un percorso punteggiato da tanti momenti di speranza per porre fine a un inferno di morti e distruzioni tra due contendenti: ebrei e arabi palestinesi. Momenti in cui aspettative, richieste e vere intenzioni sono risultate difficili da conciliare e da finalizzare in una pace. Un tracciato incompiuto reso tale dalla mancanza di fiducia, dal timore per le reazioni anche violente dei propri stessi concittadini e, soprattutto, dall'irrefrenabile spinta terroristica, fomentata dal crescente odio nazionalistico e dal condiviso attaccamento sacrale alla stessa Terra e alla stessa Gerusalemme. Un astio divenuto viscerale, come i più recenti fatti dimostrano. Una strage preordinata che rende francamente discutibile, anche se sempre auspicabile per il futuro, la possibilità di realizzare oggi la tanto sperata soluzione di "due popoli due stati". Soprattutto per la presenza di un irriducibile burattinaio, l'Iran, che conduce la propria partita egemonica nello scacchiere del Medio Oriente sostenendo e manovrando le frange terroristiche, Hezbollah e Hamas, con l'obiettivo ben dichiarato della cancellazione di Israele. Come finirà? Noi possiamo solo ipotizzare una o più alternative, ma il futuro non è nelle nostre mani. Soprattutto, una cosa che purtroppo io temo stia accadendo è che Israele, chiunque ne sia al governo, stia perdendo la fiducia in un Occidente che non fa che condannarlo, finendo per isolare pericolosamente "l'unica democrazia che ci somigli" in quell'angolo di mondo. Vittima di una realtà falsata.