«Questo non è un libro su un'arma. Questo è un libro sul Male», ci avverte Domenico Quirico e fin dalle prime righe spazza via ogni equivoco. Arrivati alla fine, del kalashnikov come arma non sapremo molto di più di quanto già sappiamo: tre chili scarsi di ferro e legno, lo può imbracciare chiunque, è capace di resistere a tutto - sabbia, fango, gelo, calure da deserto - e se si rompe bastano quaranta dollari per ricomprarne un altro. Del male, invece, quello che nasce con la Guerra fredda e arriva fino a noi, che fa soffrire, infligge violenza, si arroga il potere assoluto di dare la morte, conosceremo le tante forme. Di quel male che crea zone franche dove affermare che uccidere è permesso e a volte persino meritorio, il kalashnikov è lo strumento diabolicamente perfetto: così facile da usare che può trasformare anche un bambino in un killer, è l'arma che ha fatto più morti nella storia dell'umanità, che ha reso la violenza democratica, simbolo di rivolta, icona di tutte le guerre, mezzo per compiere massacri e genocidi, giocattolo crudele di combattenti di ogni sorta, guerriglieri, trafficanti, jihadisti, mafiosi, criminali sperimentati e giovani delinquenti in cerca di consacrazione. Per loro che si oppongono all'ordine del mondo è la morte, e non la vita, a rappresentare la vera certezza. Dal Mozambico a Gaza, passando per Somalia, Congo, Siria, Cecenia e Ucraina, Domenico Quirico, storico inviato di guerra dai fronti più pericolosi del pianeta, ci guida nel cuore nero della violenza, in quelle terre dove il fucile d'assalto sovietico distingue chi ha il potere da chi non ce l'ha, regola la facoltà di uccidere e il diritto di restare vivi, e mentre si fa strumento del male che vince sul bene cambia il corso della storia.