Gli ultimi anni ci sono apparsi come una violenta resurrezione della Storia: le immagini della tragica invasione dell'Ucraina, insieme alle macerie di Gaza, hanno rievocato gli spettri di un'umanità bellicosa che credevamo ormai appartenere al passato. La guerra, finita ai margini della nostra quotidianità, è tornata prepotentemente alla ribalta, conquistando le prime pagine dei giornali e rimescolando i fronti tra interventisti e pacifisti a oltranza. Ma la guerra in sé e per sé non era mai scomparsa - si era solo trasformata. Il fatto è che la seconda guerra mondiale ha segnato un prima e un dopo: la rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica, con la minaccia di un annientamento nucleare, ha fatto sparire dal tavolo l'opzione di una guerra su scala globale, sostituendola con uno stillicidio di piccoli e medi conflitti dislocati in aree di interesse economico o geopolitico, dove le strategie e le tecniche militari hanno potuto mettersi in discussione, rinnovarsi e a volte reinventarsi. Il generale David Petraeus, ex direttore della CIA e comandante delle forze statunitensi in Iraq e Afghanistan, è stato un grande innovatore in questo senso, trovandosi di continuo nella necessità di operare su territori ostili, in condizioni di guerriglia e mescolanza fra truppe regolari e terroristi, civili e bande armate. In questo saggio scritto a quattro mani, Petraeus mette le sue eccezionali conoscenze sul campo a disposizione dello storico Andrew Roberts, con il proposito ambizioso di tracciare la parabola evolutiva militare dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dalle due guerre del Golfo a quelle nell'ex Jugoslavia, dall'Afghanistan fino al recente conflitto in Ucraina. "L'arte della guerra contemporanea" trae cruciali intuizioni sulla natura tecnica dei diversi scontri, su quali siano gli elementi determinanti per il successo e quali gli errori più reiterati, sulle conseguenze di ogni conflitto e su quanto, ancora, dobbiamo imparare dalla Storia. Se è vero che la guerra, come scriveva il teorico militare Carl von Clausewitz, «non è che la politica continuata con altri mezzi», è dunque inevitabile che i conflitti segnino ancora il nostro presente, evolvendosi in modi sempre nuovi che oggi più che mai è necessario comprendere.