La decolonizzazione ha fallito, pertanto una decolonialità è quanto mai necessaria e urgente. Il potere coloniale e la colonialità sopravvivono nelle gerarchie economiche, razziali, di genere, in un sistema che vuole rendersi invisibile e che ormai il mondo intero ha introiettato come "naturale". Il sottile dominio della colonialità ha preso il posto del colonialismo come ordine politico: matrice di un pensiero e di una civiltà - la cosiddetta "modernità" occidentale - che non si concepiscono come particolari, storicamente dati, ma come universali e superiori. Una civiltà che si arroga il dovere morale di civilizzare i barbari; dunque di negare a costo della violenza «saperi, soggettività, percezioni del mondo e visioni di vita» alternative ovunque sorgano, nelle ex colonie come nello stesso Occidente. Da trent'anni, gli studi e le pratiche decoloniali costruiscono un futuro diverso. Walter D. Mignolo e Catherine E. Walsh, esponenti di spicco della decolonialità a livello internazionale, lavorano alla liberazione dell'immaginario, riscoprendo nell'Altro l'«imprevedibilità rivoluzionaria» e coltivando un «border thinking» che esca dall'orizzonte concettuale della modernità: «Gli strumenti del padrone non distruggeranno mai la casa del padrone». Decolonialità è un testo decisivo per accedere a uno dei dibattiti più accesi della contemporaneità; per riflettere sul senso di inferiorità che anche il nostro Occidente "periferico" ha interiorizzato in decenni di subordinazione culturale; per adottare modelli sociali tanto lontani dallo Stato-nazione quanto dal globalismo del consumo, seguendo la via delle comunità che hanno già fatto vivere la decolonialità «come un'opzione, una prospettiva, un'analitica, un progetto, una prassi».