«I bambini sono diventati sempre piú vittime, attori e spettatori dei processi sociali, in tempo di pace e di guerra. Non considerare il loro punto di vista, la loro esperienza, la loro memoria significa negarsi la comprensione di una parte importante della storia vissuta dalle generazioni che ci hanno preceduto ma anche del presente». Nei disegni di guerra fatti dai bambini le strade sono molto rare e non collegano mai due luoghi. Tutto si riduce a un punto dove c'è il corpo senza vita di qualcuno, oppure un veicolo che brucia. Metafora di una vita sospesa, l'assenza di strade rinvia alla responsabilità degli adulti che devono costruirle e aiutare i bambini a ritrovarle. La guerra è una frattura profonda nella vita di chi ne fa esperienza, condiziona i comportamenti successivi, sedimenta le memorie che si radicano nell'identità. Lo è ancora di più per l'infanzia, età che coincide con il tempo della formazione, della costruzione del proprio sguardo sul mondo. Che siano stati mobilitati, resi protagonisti passivi o attivi della violenza, colpiti da traumi e perdite, i bambini sono sempre più protagonisti dei conflitti armati del Novecento. E ciò è accaduto all'interno di un paradosso: all'affermarsi di un sistema di protezioni nazionali e internazionali per i civili nei contesti di guerra, con un'attenzione specifica nei confronti dei bambini, è corrisposto un progressivo e crescente coinvolgimento diretto e indiretto dell'infanzia.