La vicenda qui narrata è nota: accadde nel 1686 a Pentidattilo, piccolo feudo in Calabria Ultra (oggi, nella Provincia di Reggio Calabria), tenuto, a quel tempo, dai marchesi Alberti. Ne hanno parlato in tanti: storici nazionali (Galasso), storici locali (Mandalari, Minuto), antropologi (Teti). Perfino il viaggiatore, scrittore e paesaggista Edward Lear. Per moltissimo tempo, però, la storia fu tramandata sulla base di tradizioni orali e di alcune relazioni anonime: tutte queste narrazioni, così come le versioni tramandate oralmente, ne hanno privilegiato, perpetuandoli, i (presunti) risvolti romantici, gli accenni cavallereschi e, in qualche misura, l'inevitabilità del Destino o gli imperscrutabili capricci del Fato. Il rintracciamento dell'intero Archivio della famiglia Alberti fa emergere, invece, una miserrima condizione femminile, con le incredibili vessazioni subite dalla protagonista, la bellissima Antonia Alberti, nella opprimente cornice di una società pesantemente zavorrata da una tradizione oscillante fra i tratti suggestivi di riti, usi e costumi, da una parte, e le prevaricazioni più abiette della tirannia feudale dall'altra. Tutti aspetti non molto lontani (con i dovuti distinguo e le ovvie contestualizzazioni) da realtà odierne.