L'esigenza di attribuire un significato ultimo all'incessante scorrere degli eventi ha condotto il pensiero moderno a individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che potesse giustificarne ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. Eppure, molto prima del metodo storiografico di Voltaire o della grande filosofia dello spirito di Hegel, gli storici dell'età classica Erodoto, Tucidide e Polibio avevano già rinunciato a questa monumentale prospettiva. Per il pensiero classico, infatti, le gesta degli uomini seguono il corso dell'eterna ciclicità del cosmo; non il corso della rivoluzione sociale, ma della rivoluzione immutabile degli astri. Fra queste due visioni antitetiche della storia si colloca, secondo Karl Löwith, la prospettiva giudaico-cristiana, che opera una rottura fondamentale: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non è racchiuso nel passato, ma in un futuro escatologico sempre a venire, capace di determinare ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui termine è attesa la redenzione. Ma se il primo è in grado di portare la croce, il secondo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nella sua origine" quanto "anti-cristiana nelle sue conseguenze".