"Noi viviamo in un mondo ossessionato. E lo sappiamo". Con queste parole si apre il volume "La crisi della civiltà", in cui la pacatezza dei toni, confusa da alcuni con disinvoltura professorale, non cela la drammaticità della denuncia delle immani tragedie che gli uomini del Novecento stavano per affrontare di lì a poco. Una realtà incalzante scopre il senso di "decadimento", che coinvolge quanto fino ad allora era stato possibile considerare saldo e sacro: "Verità e umanità, ragione e diritto". L'opera ha rappresentato un grido d'allarme lanciato da uno studioso di fama internazionale per ricordare il valore irrinunciabile della libertà e della dignità umana. Tanto più che rispetto ad altri scritti della cosiddetta "letteratura della crisi", Huizinga mantiene ferma la fiducia in una prospettiva europea e internazionalista capace di coniugare il recupero di istanze morali e sociali, al ripristino di saldi e tradizionali principi liberali. Niente potrà l'intervento di forze esterne come la chiesa, il partito, la scuola, lo stato, per gettare le basi rinnovate di una civiltà che ha bisogno invece di un habitus spirituale integralmente nuovo. In luogo di una politica fondata sull'egoismo, ci si attende piuttosto una regolazione dei rapporti "sulla base di una larga comprensione internazionale, di un vicendevole riconoscimento dei desideri legittimi, del rispetto del diritto e dell'interesse altrui.