Quando lavorare significava guadagnarsi il paradiso. Lavorare in questa vita per guadagnare il cielo, nel passato, rappresentava l'impegno e l'aspirazione suprema della maggior parte della popolazione. L'esistenza era scandita dalle preghiere e dalle stagioni che regolavano l'orario di lavoro. Alla soddisfazione dei bisogni primari imposti dalle esigenze biologiche si associava quella di alleviare la salute dell'anima nell'aldilà. Per non farsi trovare impreparati all'appuntamento finale, occorreva predisporre le opportune assicurazioni per ingraziarsi il favore divino, soprattutto se la condotta terrena non era stata irreprensibile. Di conseguenza, bisognava adoperarsi per alleviare le pene da scontare in purgatorio. Il lavoro, dal quale trarre un minimo di risorse da investire nelle messe di suffragio, per i meno abbienti, e i beni materiali per i più fortunati, diventava, quindi, il mezzo per attenuare i patimenti futuri nell'altra vita. Se gli strati più modesti della popolazione trovavano una giustificazione evangelica alla propria precarietà economica e subalternità sociale, i ceti abbienti miravano a emendarsi dai peccati utilizzando le loro maggiori disponibilità patrimoniali, le stesse che avevano contribuito alle cadute terrene per le quali temevano il castigo divino.