Simile a un'adolescenza ingrata, il passaggio dalla clandestinità all'ufficialità si rivela traumatico per l'acerbo cricket italiano. A tenerlo a galla, a cavallo tra il vecchio e nuovo millennio, è la Nazionale. All'impensabile vittoria del 1998 contro l'Inghilterra, fa poi seguito la cruenta lotta contro l'ICC per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza trasmessa attraverso lo Ius Sanguinis. In questo scontro, in cui vengono messi in discussione i principi fondamentali su cui si basa la secolare tradizione del diritto romano, si gioca in anticipo la partita dell'inclusione in cui aleggia forte più che mai il più subdolo dei nemici: il pregiudizio. Il movimento inizia quel processo di maturazione culturale che lo porta, primo in Italia, ad abbattere ogni barriera etnica e religiosa. Unendo sul campo da gioco i due estremi della storia sociale nazionale, i discendenti degli emigrati con coloro che, per necessità o per scelta, hanno eletto la Penisola a nuova patria, il cricket si pone come faro del sofferto processo d'integrazione in un Paese che si è trasformato da fonte d'emigrazione a mèta d'immigrazione, ma fatica a calarsi in questa nuova realtà.