Il processo a Giacomo Antonio Galluzzi e la condanna al rogo (Milano, 1679 -1685). «Fra le corruttele introdotte nella città di Milano», si legge nella prima denuncia contro Giacomo Antonio Galluzzi, «enormissima è la fabbrica d'istrumenti falsi», atti notarili «che giornalmente si veggono produrre nelle cause». Seguirono altre denunce, che nel 1685 portarono alla condanna a morte del falsario, mentre un funzionario pubblico fu esiliato e un notaio fu bandito dallo Stato. La ricchissima documentazione prodotta nel processo andò perduta ma una sua copia venne conservata fino ad oggi nell'archivio dei nobili Pusterla di Tradate, custodito con cura e passione dalle Madri Canossiane dell'Istituto ?Barbara Melzi? di Legnano e Tradate: circa 1200 pagine inedite, che raccontano di un Galluzzi agevolato da connivenze e complicità tra notai e avvocati, funzionari pubblici, militari, nobili, giudici e alcune supreme cariche dello Stato; e tra la sua clientela c'erano nobili ma anche uomini delle istituzioni ed ecclesiastici di rango: nel materiale sequestrato a Giacomo, alberi genealogici e scritture di ogni genere ed epoca menzionano oltre cento famiglie. Una vicenda di corruzione tutta milanese durante la dominazione spagnola, corruzione in buona parte politica perché alimentata da chi mirava ad appartenere al ceto dominante, l'arena del potere.