Se il 1936, con l'Asse Roma-Berlino, e il 1939, con il Patto d'Acciaio, furono teatro di un deciso avvicinamento politico-militare tra l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, è indubbiamente nel 1938, con l'emanazione delle leggi razziali da parte di Benito Mussolini, che entrambe le nazioni raggiunsero una perfetta intesa sul piano ideologico. Differentemente dal popolo tedesco, quello italiano, che, fino a tre anni prima - all'apertura delle ostilità con l'Etiopia - poteva ingenuamente intonare "Pupetta mora, africanina. Saprai baciare alla garibaldina", veniva a trovarsi impreparato di fronte a una realtà pressoché sconosciuta: la purezza della razza. È a questa tangibile mancanza di conoscenza, a questa forte lacuna etico-culturale-identitaria che il regime fascista sentì la necessità pressante di porre rimedio. Urgeva trovare i modi e i mezzi per sopperirvi, fare opera di chiarificazione, di informazione, di educazione. Non occorse molto tempo. Era infatti il 5 agosto 1938 quando uscì il primo numero de La Difesa della Razza, quindicinale atto all'"esaltazione del concetto di razza, dei valori biologici ed etnici, del sangue e del genio".