Due operazioni aeree avvenute nei mesi finali del conflitto, una poco nota, l'altra al contrario molto conosciuta, costituiscono il tema di questo studio. Entrambe ebbero luogo nel Pacifico, più precisamente in Giappone e furono i classici "chiodi nella bara" per i sogni di grandezza dell'Impero nipponico. La campagna di minamento delle acque territoriali giapponesi, come avremo modo di vedere, ebbe un impatto decisivo sulle sorti della guerra, accorciandone la durata di molti mesi, mentre più discussa e controversa è sempre stata l'offensiva aerea incendiaria sulle città dell'arcipelago. Le centinaia di migliaia di vittime, le immani distruzioni arrecate alle aree edificate di sessantasette grandi centri abitati del Giappone furono proprio necessarie? Oggi, a quasi ottant'anni dai fatti, la domanda viene posta con toni non retorici dalla storiografia americana sulla Seconda Guerra Mondiale. Ma durante le ostilità non venne concesso troppo spazio alle discussioni; l'obiettivo principale della campagna di bombardamenti incendiari intrapresa nel marzo del 1945 era chiaro: concludere il conflitto prima possibile, per salvare quante più vite umane tra le forze armate alleate. Gli Americani disponevano dell'arma adatta-la Superfortezza B-29-e del background logistico ed organizzativo per impiegarla. E lo fecero con risultati devastanti, portando la guerra nella capitale giapponese.