Mai come nel Rinascimento fiorentino il giardino si è fatto modello del mondo: nato e nutrito nella culla dell'Accademia neoplatonica, questo luogo naturale ha la sua essenza nel proprio rivestimento filosofico, nella visualizzazione che se ne può fare. A partire dal topos fisico e metaforico, l'autrice conduce una lettura dei giardini all'italiana di epoca rinascimentale mescolando la prospettiva estetica a quella prettamente ontologica. Alla mappa cinquecentesca sovrappone un filtro, quello delle cartografie di Gilles Deleuze e Félix Guattari, che si rivela sorprendentemente compatibile, pur se spesso di segno opposto: il rizoma è contrapposto all'albero; dentro l'ordine tipizzato, che già in sé ha una direzione manierista, cerca spazi di fuga il movimento destrutturante del post-strutturalismo. In definitiva i giardini ficiniani «si prestano a essere interpretati come carte del desiderio inconscio e dispositivi di produzione della soggettività». Al lettore è chiesto di avventurarsi nel labirinto dei viali con spirito critico e gusto del dibattito, in modo da assistere con pieno godimento al dialogo fra posizioni filosofiche distanti. La leggera inquietudine che potrebbe coglierlo al momento di varcare i cancelli sia compensata dalla promessa che questo volume avanza a buon diritto: nomade in questo spazio, assisterà alla propria metamorfosi interiore.