"Lettere a Bernini" si svolge interamente in un afoso giorno d'estate dell'anno 1667. In scena, nel suo studio di scultore, pittore e architetto, il vecchio Gian Lorenzo Bernini, la massima autorità artistica della Roma barocca. Bernini è infuriato con Francesca Bresciani, intagliatrice di lapislazzuli che ha lavorato per lui nella Fabbrica di San Pietro e che ora lo accusa, di fronte ai cardinali, di non pagarle il giusto prezzo per il suo lavoro. Nell'infuriarsi con la donna, Bernini evoca l'ombra dell'odiato rivale, Francesco Borromini, il geniale architetto ticinese. Ma con l'inaspettata notizia del suicidio di Borromini, la furia cederà il passo alla pietas e al riconoscimento del valore dell'opera del collega. Del resto, chi può comprendere fino in fondo la grandezza di un artista? Il suo rivale. Il suo avversario. Il suo simile. Attraverso una drammaturgia in cui la voce monologante dell'attore e quella di Bernini si rincorrono e sovrappongono senza soluzione di continuità, come scolpendo nel vuoto presenze, figure e ricordi, l'opera di Martinelli ritrae il grande artista, ma anche l'uomo irascibile e violento, scaltro e cinico nel servire il potere, e ci mostra un Seicento che parla di noi, sospeso tra il secolo della Scienza nuova e l'attuale imbarbarimento, sempre piú incombente.