Hassan Fathy sosteneva che "L'architetto moderno è diventato come un calciatore che gioca a calcio impiegando un cannone." Sul filo di questo graffiante paradosso i testi raccolti in questo libro polemizzano e criticano con acume le derive di un'architettura dello show globalizzata e autistica incapace di farsi carico delle gravi questioni che attraversano il mondo. Da qui, attraverso il riferimento a figure critiche eretiche oggi dimenticate come Ivan Illich, Colin Ward, Aldo Capitini, Giacomo Borella, sostenendo la necessità di ritrovare, pur nello spaesamento delle città, "il senso di appartenenza al creato", delinea un'idea di architettura minore, "un'architettura allegra, che riconosce la terra come dono, la manutiene e ne raccoglie i frutti".