"Un filo di voce" è il nome inventato dal gruppo di studenti universitari detenuti nella sezione di Alta Sicurezza della casa circondariale la Dogaia di Prato, che hanno partecipato al seminario guidato da uno di loro, a margine del suo esame di storia dell'arte sotto la guida del professor Lorenzo Gnocchi dell'Università di Firenze. La scelta dell'auto-definizione "Un filo di voce" come responsabile del testo di questo libro, intende esprimere l'accordo sostanziale dei detenuti partecipanti sul risultato delle lunghe discussioni elaborate nel corso degli incontri del gruppo fra loro e con i protagonisti 'esterni': ironicamente 'sottovoce', nella loro situazione attuale, si sono sentiti liberi di meditare e di esprimersi su tanti temi della Giustizia, attraverso il filtro delle opere d'arte.