"Disegnare equivale a conoscere, vedere e far vedere la realtà: significa rendere visibili il mondo e le cose, luci e ombre del vero, gli uomini e i loro gesti, i volti e le maschere. Per Francesco Arata il disegno è una storia a parte e dopo una ventina di mostre postume che hanno ufficializzato la sua pittura, felicissima l'idea del figlio Gian Maria di rendere pubblica una nascosta, se non gelosa, dedizione del padre al particolare linguaggio visivo che è la produzione grafica. Pur essendo la tappa iniziale dell'attività di ogni artista, il disegno in Arata non è quasi mai un esercizio propedeutico all'opera pittorica, ma un lavoro a sé stante di volta in volta ripetuto e compiuto su oggetti o soggetti visti con la mente prima che realizzati dalla mano, pensieri visivi al filtro di sentimenti e sensazioni, desideri e passioni, in cerca di una definitiva consistenza figurale. Penna o pastello, matita, carboncino o gessetto, per altro usati su improbabili supporti cartacei, l'autore li ripete ma non li corregge, essendo la sua una fedeltà alla prova grafica come bisogno naturale, inconscia restituzione delle cose viste alla segreta verità dell'idea."