Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, è indubbio che gli sconfitti possono esserne i protagonisti. Lo dimostra una volta di più l'epopea perdente dei New York Knicks degli anni Novanta - epoca d'oro dell'Nba - arrivati «a un passo dall'immortalità, senza mai riuscire ad assaporarla». Tra il dominio dei Bulls di Michael Jordan e quello degli Spurs di Tim Duncan, i famigerati Knickerbockers di Pat Ewing hanno incarnato il volto più duro e cattivo della lega (che a causa loro fu addirittura costretta a cambiare le regole di ingaggio in campo). E dopo anni di anonimato, sono stati gli artefici - sotto la guida prima del principe delle panchine Pat Riley e poi dell'underdog Jeff Van Gundy - della rinascita cestistica della Grande Mela, raggiungendo tre finali di conference e due Finals in dieci anni, senza però mai conquistare l'anello. Nonostante questo, quei Knicks - in virtù non tanto del loro talento, ma di un'abnegazione spesso al limite della ferocia - hanno fatto innamorare milioni di tifosi, stipati sulle gradinate del Garden in una sorta di unione mistica con la propria squadra. Gli stessi che nei due decenni successivi avrebbero visto i propri beniamini perdere più partite di qualsiasi altra formazione Nba. A cinquant'anni di distanza dall'ultimo titolo conquistato dalla città che non dorme mai, Chris Herring ricompone i momenti chiave della storia di una delle franchigie più iconiche del basket pro, restituendo al lettore una narrazione epica e originale fatta di esaltazione e fallimento, capace di scaldare i cuori come il più gioioso dei trionfi.