Gli Anni Settanta sono stati incisivi, aspri, ruvidi come dice il titolo di questo libro. Anche per la Formula 1. Un omaggio ai leggendari gran premi di Nürburgring, Francorchamps, Brands Hatch, Clermont-Ferrand, Montecarlo, Zandvoort, Monza, Montjuich, Jarama, prima che le esigenze di sicurezza omologassero le caratteristiche di quasi tutte le piste, rendendole desolatamente uguali. Le storie umane di Graham Hill, Jackie Ickx, Chris Amon, Jackie Stewart, Niki Lauda, James Hunt, Ronnie Peterson, Clay Regazzoni, Jo Siffert, Pedro Rodriguez, Mike Hailwood e tanti altri. Gente che per vivere le emozioni delle corse non aveva bisogno di piste rasate come il velluto, di box con la tivù a circuito interno, collegamenti satellitari, wireless, internet e hospitality principesche per blandire i vip, imbonire i media, levigare gli sponsor. Questo non impediva ai tecnici di escogitare soluzioni geniali. Il gran premio era cosa per pochi eletti, un affare privato. Quando lo starter abbassava la bandiera (quella c'era, altro che semafori) in pista restavano soltanto loro, i piloti della Formula 1. Senza l'auricolare che gracchiava nell'orecchio gli ordini del capo. Dovevi arrangiarti fino alla fine in una solitaria, esclusiva dimensione. Il dialogo era un filo diretto con il motore che urlava, il corpo infilato in un bolide gonfio di benzina. Ogni tanto un'occhiata obliqua sullo specchietto che vibrava impazzito. Tu e gli avversari. Tu contro gli altri. Tu prima degli altri. Qualcuno ha scritto che il fascino della corrida sta tutto nel fatto che a volte vince il toro. E del circo equestre ha ricordato che il gesto atletico del trapezista ha lo stesso valore se l'esercizio è eseguito con o senza rete. Però senza vale di più. La gente sapeva. E si accalcava nelle curve più ardite, nei passaggi più duri, aspettando il confronto più serrato. Erano corse dai sapori forti. Corse imprevedibili. Corse ruvide.