Amore vero, a prima vista, fin dall'infanzia. E non è da tutti amare una Dea. Che Dea non è, vi diranno i puristi, perché secondo la mitologia greca Atalanta era una ninfa. Sia come sia, il salto ontologico si è imposto sul campo, con la divina ascesa che l'ha portata fino a Dublino, in vetta all'Europa League. Trascinando con sé un intero popolo, perché tra le squadre italiane l'Atalanta, in perfetta simbiosi con il suo territorio, è forse la più identitaria. Magnifico paradosso, piedi in provincia e testa (alta) in Europa, che nessun sociologo o antropologo saprà spiegarvi. Ma sei super tifosi bergamaschi, disposti a vuotare il sacco senza freni inibitori, sì: Davide Ferrario, raffinato regista; Nando Pagnoncelli, autorevole sondaggista; Giuseppe Remuzzi, scienziato di fama; Gigi Riva, inviato di guerra e scrittore di successo; Donatella Tiraboschi, brillante cronista di costume e Pietro Serina, opinionista e storico dell'Atalanta. Un intreccio avvincente di trame autobiografiche e slanci letterari, ricco di aneddoti e retroscena inconfessabili. È la fascinazione religiosa e irrazionale del tifo, l'unica prospettiva da cui si può davvero capire il fenomeno Atalanta. Un affresco ricondotto a unità da una parola magica, Appartenenza, a cui il club dovrebbe ispirare il suo museo. E in effetti ogni atalantino finirà per identificarsi in questa narrazione a più voci che attraversa tutte le generazioni del prima e del dopo Gasperini, il vate-spartiacque di una storia gloriosa iniziata il 17 ottobre 1907. Ma intrigherà anche chi, tifoso tiepido o indifferente, ha la curiosità di capire chi diavolo è questa Dea impertinente, venuta dalla provincia, che fa perdere la testa a cotanta schiera di affermati professionisti e ha portato lo scompiglio in Europa.