La civiltà ipertecnologica e ipercomplessa è una civiltà della razionalità e del controllo totale che continua a rappresentarsi, ad auto-rappresentarsi e ad essere rappresentata come una civiltà sempre più avanzata e in grado di semplificare tutto, oltre che di eliminare l'Errore e l'imprevedibilità dalle nostre vite, attraverso l'automazione e i processi di simulazione. Il paradigma egemone, che ne è alla base, porta con sé una serie di grandi illusioni intimamente legate alla possibilità di marginalizzare l'Umano, delegandone le relative scelte e responsabilità a sistemi di intelligenza (?) artificiale e dispositivi tecnologici interconnessi. Continuiamo a credere di saper/poter controllare e prevedere, perfino, pre-determinare tutto, invece di provare ad apprendere, proprio attraverso l'errore* e l'imprevedibilità, come abitare l'ipercomplessità ed aprirsi all'indeterminato. La confusione sistemica e culturale tra "sistemi complicati" (meccanismi) e "sistemi complessi"(organismi) continua ad avere conseguenze profonde, a tutti i livelli. Le scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche di questi ultimi decenni, oltre ad averci offerto straordinarie opportunità di determinare anche i meccanismi dell'evoluzione biologica, ci hanno fatto anche definitivamente entrare nel tempo della massima imprevedibilità, incertezza e obsolescenza (dei saperi e delle competenze). Dimensioni sistemiche e, ormai, anche esistenziali. D'altra parte, l'Umano, il Sociale, il Vitale e, più in generale, i "sistemi complessi" non sono riducibili né semplificabili, né tanto meno misurabili, prevedibili, gestibili fino in fondo. Di conseguenza, occorre un ripensamento profondo delle epistemologie e delle metodologie che plasmano e caratterizzano insegnamento, educazione, formazione, ricerca, superando fratture, logiche di separazione e reclusione dei saperi che hanno mostrato tutti i loro limiti e le nostre inadeguatezze, anche durante la pandemia.