Questo libro parla del corpo e siccome la realtà nella quale esistiamo, immaginata, allucinata, delirante, trasognata, declamata, tutelata, trasformata, deturpata e tant'altro, è fatta di corpo, si potrebbe ironicamente dire che questo libro parla del tutto. Il tutto però non è una semplice quantità né una semplice unità (i greci ci erano arrivati agli albori della filosofia), dunque non lo è nemmeno il corpo. Proprio per questo il corpo si fa abitabile ma, come ben aveva suggerito Sigmund Freud, non ne consegue che possa essere governato. Infatti è a volte angosciante prender coscienza che, come nel caso dell'amore, anche al corpo non si comanda. Non che lungo la storia dell'umanità non si sia voluto teorizzare e praticare il contrario, lo stesso concetto di scienza, sorto a beneficio del conoscere, si è adattato a trasformare e a produrre corpo. La robotica, ad esempio, eredita dalla medicina la logica funzionale della partizione corporea per correggerne le carenze strutturali. Una certa ideologia della liberazione a buon mercato, facendo aggio su questa presunta disponibilità, ha realizzato, anticipando le immaginifiche potenzialità della tecnologia, che la stura ad una rivendicazione di pseudo diritti potesse vincolare, nel rispetto del politicamente corretto il corpo all' hic et nunc del sentir-si. Risultato: le affabulazioni della "cancel culture" importate dagli States. Con la psicoanalisi invece, il corpo non è più quel corpo, la cui abitabilità diviene immediatamente "occupazione". Il corpo è tale perché non è mai tutto, non è mai "completo", manca sempre di qualcosa, anzi è proprio quel qualcosa di cui manca a fare del corpo il luogo primo del diritto (non della rivendicazione di diritti). L'immagine politica del corpo si rivolge proprio a questo resto, a quest'eccedenza, a questa "mancanza" sempre presente e di come con essa e grazie ad essa si scriva la storia di ognuno.