Questo non è il racconto biografico della malattia dell'autore, racconto che probabilmente interesserebbe ben poco. Piuttosto questo è un reportage ben documentato e approfondito che assume la malattia a prospettiva per guardare gli esseri umani coinvolti e risucchiati. E la malattia oncologica, il cancro, in cui Rustichelli si è imbattuto da protagonista recidivo, è un'angolatura decisamente estrema e profondissima attraverso cui osservare e narrare gli altri. Gli altri e se stesso. La scrittura, condotta in prima persona, nasce qui dallo stupore e dall'urgenza di raccontare un mondo separato, nascosto, precluso ai più; di sollevare temi sociali legati alla sanità come la difficile comunicazione coi medici, il modo in cui i media parlano della malattia, cancro e mondo del lavoro, cancro e colpevolizzazione dei pazienti causata dalle "interpretazioni psicosomatiche", ma anche ironia ed ottimismo, elementi necessari alla sopravvivenza e alla guarigione. Raccontare e nel farlo liberarsi del peso, talvolta insostenibile, di ciò che si stava vivendo, di ciò che si vedeva nel reparto oncologico frequentato in più ricoveri. Una liberazione in grado di far trovare un senso e di riguadagnare la prima persona che l'autore aveva smarrito in un tempo di sfacelo. Miracolo del linguaggio: del nominare le cose e per ciò stesso del condividerle.