Oggi l'essere vegan è ormai abbastanza sdoganato. E grazie anche al vegan washing le corsie di molti supermercati, e non solo, abbondano di prodotti in linea con questa scelta etica. Eppure, allo stesso tempo, spesso le persone vegan si ritrovano nella posizione di essere criticate e di subire veri e propri episodi di vegefobia. Com'è possibile che coesistano questi due differenti atteggiamenti? Marco Reggio partendo proprio dalle basi storiche del veganismo e da un'analisi della situazione attuale ci porta al cuore della questione. Esistono molti modi di essere vegan, il veganismo può essere apolitico, normalizzante e rassicurante, oppure, al contrario, politicizzato. Una visione del mondo che mira a sovvertire i rapporti violenti fra le specie, appunto antispecista. L'antispecismo è un movimento per l'abolizione dello sfruttamento animale, una filosofia che promuove un ideale di eguaglianza radicale fra tutti gli animali, compresi gli animali umani. Questo significa che in quanto tale dovrebbe anche essere sensibile alle lotte contro le oppressioni che si manifestano all'interno della nostra specie e quindi applicare anche in questo ambito un'ottica trasnfemminista, queer e decoloniale. L'antispecismo è intrinsecamente intersezionale e non può che essere contro ogni forma di razzismo, di abilismo, e profondamente anticapitalista. Perché può esistere un diverso modo di stare al mondo, un diverso modo di stare in relazione con chi abita il pianeta insieme a noi, ma anche in grado di costruire delle soggettività meno antropocentriche, a partire dalla comprensione e dal riconoscimento del nostro privilegio umano.