Eravamo abituati a edifici che sopravvivevano a generazioni, che ci avrebbero attesi dopo lunghi viaggi, come i nidi delle rondini. Casa era per il friulano sinonimo di sicurezza, protezione, rifugio. Ogni pietra era unita all'altra col sudore, il sangue, le imprecazioni e le benedizioni. Il terremoto ha rovesciato questo rapporto in una manciata di istanti, coprendo il tradimento e l'offesa sotto un cumulo di macerie. Il 6 maggio è andata in rovina anche una parte della nostra umanità, quella legata alle pietre e alla terra. Chi è sopravvissuto si è rialzato senza orgoglio e ha ricominciato, non per speranza ma per ostinazione, e "continuare nonostante..." è diventato il nostro mantra. Queste pagine, dando voce a quei protagonisti involontari, raccontano del dies funestus, della "materia di cui siamo fatti noi friulani" e di coloro che ci hanno aiutati e amati.