La catastrofe ha cambiato il nostro modo di pensare? Sicuramente ha influito su molti comportamenti. Ma è evidente come non abbia avuto la funzione catartica e purificatrice che molti si auguravano. E non ci spingerà verso un tempo migliore. La falsificazione continua del pensiero scientifico, la crisi delle ideologie politiche, il condizionamento dei mass media, il vuoto dei social, continuano a far parte della nostra dimensione esistenziale. La crescita di alcune discipline maggiormente legate allo sviluppo tecnologico, alla finanza, all'economia, ha creato un sistema di pensieri non strutturato per essere continuativo, non fondato sulla necessità, non essenziale. Tutto questo, nel giro di poco più di mezzo secolo ci ha cambiato la testa. Possiamo ancora dire che siamo ciò che pensiamo? O non succede il contrario, e cioè che ormai siamo noi ad essere pensati? Le idee di persona, di libertà, di democrazia, di etica, di felicità, di bellezza, hanno smarrito il proprio significato autentico e fanno parte di un vuoto formalismo comunicativo. Le stesse parole del quotidiano hanno un senso diverso. La pandemia è l'occasione, dunque, per una riflessione in qualche modo filosofica, totalizzante, necessariamente critica, su come siamo e come pensiamo, e come probabilmente continueremo a pensare anche quando la catastrofe sarà finita. Perciò, questo non è soltanto un libro - uno dei tanti - sulla pandemia. Piuttosto, continua il discorso critico sull' "immediatismo" e sulla società del nowness, iniziato dall'autore con "Adessità" (2017).