L'assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump, il 6 gennaio 2021, ha rappresentato l'atto finale di uno dei periodi più turbolenti della recente storia americana. La risposta inadeguata del governo alla pandemia di Covid-19, le proteste divisive e polarizzanti, le crepe profonde nel tessuto sociale venute alla luce durante il lockdown hanno improvvisamente messo a nudo le reali condizioni del paese, da sempre prospero e rispettato e rivelatosi invece fragile e smarrito, con istituzioni vacillanti, una classe dirigente screditata e una popolazione divisa e incline alla violenza. Un paese segnato da palesi ingiustizie e disuguaglianze, incerto riguardo alla propria democrazia onninclusiva, reticente sul passato schiavista e incapace di adottare politiche ispirate a valori condivisi. Per George Packer, giornalista di «The Atlantic», gli avvenimenti degli ultimi anni sono il frutto di una crisi più profonda, l'esito di un disfacimento politico e di una lacerazione sociale in atto ormai da diversi decenni, che alcune narrazioni dominanti nella vita pubblica americana non sono state in grado di cogliere, restituendo un'immagine parziale e distorta del paese. Quella della Free America, la reaganiana «città splendente su una collina», libertaria e antistatalista; quella della Smart America, liberal e cosmopolita, che celebra il talento e la globalizzazione; quella della Real America, bianca, provinciale e nazionalista; e quella, infine, della Just America, che si batte per i diritti civili, denuncia i crimini secolari ai danni di neri e nativi e lotta contro ogni forma di oppressione. Combinando reportage, storia e analisi politica, Packer dipinge un quadro degli Stati Uniti che è al contempo un inquietante campanello d'allarme per le società occidentali. Tuttavia l'America può ancora salvarsi. Per farlo deve ricordarsi com'era. È un'impresa difficile, ma è l'ultima speranza.