I testi di Gaetano Valeriani presentati da Patricia Bianchi possono a giusta ragione essere considerati nella prospettiva di una linguistica percezionale riferita al passato: grazie all'osservazione del giornalista letterato vediamo infatti ambienti particolari della Napoli ottocentesca e percepiamo la variegata stratificazione sociale di una metropoli in cui convivono usi linguistici tra loro molto diversificati. Pensiamo per esempio a ciò che Valeriani scrive da un lato di quella particolarissima Torre di Babele che era (ed è) Porta Capuana, dall'altro lato degli ambienti culturali cittadini in cui sono coltivati gli studi grammaticali e linguistici. Se forse nello scritto di Valeriani affiora in qualche modo il compiacimento folclorico di chi osserva un mondo percepito come distante ed esotico, è indubbio che le pagine di Valeriani contengono informazioni rilevanti giustamente messe in luce e valorizzate. La testimonianza più importante è appunto quella che dimostra che anche all'inizio dell'Ottocento l'italiano conviveva (certo non solo a Napoli) con il dialetto e con l'italiano locale.