Jonathan Safran Foer ci propone una riflessione sul cibo partendo dal ricordo personale di sua nonna, dalla forza che durante la guerra la spinse a rifiutare della carne di maiale che l'avrebbe tenuta in vita, perché non era cibo kosher, e «se niente importa, non c'è niente da salvare». Il cibo per lei non era solo cibo, ma «terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore». Una volta diventato padre, Foer ripensa a questo insegnamento e inizia a interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire un figlio è ancora più importante che nutrire se stessi. Così nasce questo libro, frutto di un'indagine durata quasi tre anni, che è insieme racconto, inchiesta e testimonianza e che invita tutti alla riflessione, indicando nel dolore degli animali - e soprattutto nella nostra sensibilità verso chi è «inerme» e «senza voce» - il discrimine fra umano e inumano, fra chi accetta senza battere ciglio le condizioni imposte dall'allevamento industriale e chi le mette in discussione.