Donne che muoiono di piombo, di coltello, di spranghe, di martelli, di cacciavite, di calci, di pugni. Strozzate con le mani o con cinte, corde, sciarpe fazzoletti, asciugamani. Bruciate, se serve per completare l'opera. Le cronache, a leggerle bene, difficilmente sono bugiarde, almeno in superficie. Chi spara, accoltella, picchia, massacra, strangola, spacca, frantuma, brucia, quasi mai è uno che impazzisce all'improvviso. Raptus, impeto, omicidio a caldo: termini buoni per arrivare agevolmente a una ragione o per lucrare attenuanti ai processi. Chi legge queste cronache potrà scoprire che, viceversa, l'omicida, nella maggior parte dei casi, è determinato e ci mette tutte le forze che ha. Agisce per il raggiungimento di un risultato che, come un demone, si è insinuato molto tempo prima da qualche parte della sua mente e lo tormenta. Lo stimola, lo chiama e lo spinge all'azione. Per risolvere un problema, che è il suo problema. Una donna cadavere non potrà più appartenere a qualcun altro. Il sangue delle donne è un documento forte e agghiacciante che racconta, con uno stile asciutto e preciso, quasi mezzo secolo di femminicidi avvenuti in Umbria.