Il volume tratta il tema della discrezionalità del potere di polizia attraverso una ricerca sulle pratiche di controllo dei confini interni in uno spazio urbano. Dovendosi confrontare con la presenza di persone migranti irregolarizzate in un contesto di indeportabilità, la polizia è stretta nel paradosso di dover applicare una legge impossibile da far rispettare. Allora, il confine che attraversa lo spazio urbano è anche il risultato di una negoziazione - entro rapporti di potere asimmetrici - tra la pretesa di invisibilità della polizia e la richiesta di visibilità delle persone migranti. Al centro dell'analisi c'è l'interazione tra controllori e controllati per stabilire i termini di una irregolarità accettabile. Partendo dal ruolo della nascente polizia nel controllare oziosi e vagabondi, l'autrice ripercorre il dibattito dei classici della sociologia sulla polizia per poi approdare al ruolo cui questa assolve nel controllo odierno dell'immigrazione: in continuità con il tradizionale controllo della mobilità e della povertà, ma non senza innovazioni nel segno della razzializzazione della nazionalità, la polizia finisce per produrre e riprodurre l'ordine in società interessate da processi di globalizzazione e in continua trasformazione. Il risultato è una descrizione dettagliata di un meccanismo di inclusione silenziosa e subordinata di soggetti la cui presenza ostinata è contemporaneamente visibile e negata.