Sono due i fili rossi che caratterizzano questo libro: il fenomeno dell'ingaggio di piazza riguardante i poveri della terra, e la cultura contadina come amalgama di una resilienza verso una realtà spesso inumana, almeno nel passato. L'utilizzazione poi della Ricerca Sociale come collante dell'intreccio di questi due filoni rappresenta la terza caratteristica di questo scritto. Il libro non... osa essere un trattato di storia, perché l'evolversi delle grandi fasi di evoluzione ma anche di involuzione della realtà contadina viene conosciuta e commentata dall'autore soltanto attraverso le Ricerche Sociali da Lui realizzate o coordinate nell'arco di più di trent'anni, e per di più con ben quattro Committenti istituzionali diversi: SCAU, FAO, CNCD, LABOS. In sintesi, l'autore tenta di evidenziare l'esistenza di una internazionale della povertà rurale, a cui i suoi Protagonisti riescono a sopravvivere - malgrado tutto - grazie ad una propria cultura contadina, piena o ricca di superstizioni o incongruenze, resistente o soggiacente alla cultura urbano-industriale volontariamente o involontariamente totalizzante: cultura contadina con caratteristiche simili in giro per il mondo, malgrado tutto persistente nonostante i camuffamenti a cui è costretta dalla cultura dominante, ma speranzosa di un futuro meno opprimente ed automatizzato. Un futuro ben sintetizzato nel cartiglio che appare all'inizio di questo libro, e cioè: "L'utopia dei deboli è la paura dei forti".