Dai giganti della Silicon Valley ai politici, dai tecno-futuristi ai sociologi, tutti sono concordi che l'era che ci apprestiamo a vivere è quella dell'automazione. In questa nuova epoca anche il lavoro - con il suo significato, il suo valore, il suo impatto sociale, politico ed economico - non sarà più come lo conoscevamo. I rapidi progressi nell'intelligenza artificiale, nell'apprendimento delle macchine e nella robotica sono in procinto di trasformare i processi lavorativi automatizzandoli completamente. Già ora sfrecciano camion senza conducente e cani robotici trasportano attraverso pianure desolate armi destinate ai militari. Nelle fiere di robotica si mettono in mostra macchine in grado di cucinare, avere rapporti sessuali e perfino sostenere una conversazione. Ci stiamo dunque avviando verso il crepuscolo del lavoro umano? Secondo Aaron Benanav ci sono molti buoni motivi per dubitare di tutta questa frenesia futurista. Del resto, anche se l'automazione dovesse comportare la liberazione collettiva dalla fatica fisica del lavoro, noi continueremmo comunque a vivere in una società nella quale la maggior parte delle persone deve lavorare per vivere, il che significa che il sogno di una totale emancipazione potrebbe trasformarsi nell'incubo di una disoccupazione di massa.