L'appropriazione culturale - ovvero l'uso e la rielaborazione dei saperi e patrimoni tradizionali stranieri per esprimere la propria identità - è da tempo un argomento rovente nel dibattito occidentale, anche perché è molto difficile stabilire dei confini netti rispetto all'appartenenza a una determinata cultura. Per i progressisti rifiutare l'appropriazione culturale vuol dire mettere in discussione la legittimità di una produzione intellettuale che si serve da padrona dei tesori altrui, quasi sempre delle minoranze. Per le destre, d'altronde, è auspicabile una logica rigorosa dell'identità culturale, complementare e necessaria alla costruzione di una identità nazionale forte. Secondo Jens Balzer ogni cultura si basa però inevitabilmente sull'appropriazione, benché ne esistano una buona e una cattiva: tutto sta nello scegliere il modo più corretto. Muovendo da Édouard Glissant e dal Black Atlantic di Paul Gilroy, passando poi dalla teoria queer di Judith Butler e tramite Gilles Deleuze e Félix Guattari, l'autore delinea con verve e spiccata abilità divulgativa un'etica dell'appropriazione che diventa anche il fondamento di un rapporto illuminato con la propria identità.