Nel giugno del 1947 la rivista "Bulletin of the Atomic Scientists" pubblica in copertina l'immagine stilizzata di un orologio con le lancette ferme a pochi minuti dalla mezzanotte: è la prima comparsa del Doomsday Clock, un orologio ideale che, sulla base della valutazione di molti scienziati, segna quanto ci stiamo avvicinando alla fine del mondo. All'epoca, all'indomani di Hiroshima, la preoccupazione era esclusivamente atomica, ma nei decenni seguenti le minacce apocalittiche sono proliferate, moltiplicandosi spaventosamente con l'arrivo del nuovo millennio: siccità, inquinamento, estinzioni animali e vegetali, inondazioni, terremoti, guerre, sviluppi tecnologici fantascientifici, precarietà economica e tensioni sociali. Intanto, i media tradizionali cavalcano le paure a colpi di titoli a caratteri cubitali, mentre nei social network rimbalzano immagini e video in cui ci immergiamo passivamente e depressivamente, come fossero visioni da un futuro distopico. Non si tratta più di sognare una fine del mondo, sembra, ma di scegliere quale fine del mondo ci aspetta. O meglio, abbiamo in realtà il sospetto che il mondo continuerà a esistere, placido e surriscaldato, ma senza di noi. È davvero così? O è solo la narrazione seducente dell'apocalisse che ci ha mortalmente assuefatti? Abbiamo riunito quindici scrittrici e scrittori che si occupano di ambiti molto diversi, e li abbiamo invitati a ragionare intorno a queste domande. Gli interventi che ne sono scaturiti attraversano discipline e argomenti disparati: ecologia, tecnologia, biologia, astrofisica, geopolitica, arte, letteratura, climatologia, economia, storia, cibo, lavoro, sociologia, social media. Al di là di ogni potere apotropaico, in ogni caso, "Sta arrivando la fine del mondo?" è una domanda utilissima. Serve a fermarsi un attimo e raffreddare gli animi, a decodificare il presente per immaginare il futuro di specie che ci aspetta.