Siamo negli anni '50 del XIX secolo: la corrente mazziniana è isolata e pressoché impotente; gli ex sostenitori e i moderati convengono sulla necessità di un'Italia unita e indipendente, governata da uno Statuto in grado di garantire i diritti fondamentali dei cittadini e in particolare la libertà di pensiero, di parola e di stampa. A questo punto è naturale che i patrioti guardino al Piemonte perché unico Stato italiano che aveva mantenuto lo Statuto concesso da Carlo Alberto nel 1848, mentre il Pontefice, il Re delle Due Sicilie e il Granduca di Toscana si affrettano a denunciare quanto avevano concesso nell'"anno dei portenti". Al completamento del moto cooperano sia l'abile tessitura cavouriana, sia l'ardire di Garibaldi, sbarcato in Sicilia nel maggio del 1860. La soluzione della questione veneta passa anch'essa per la scelta delle due vie, ma la congiuntura internazionale orienta alla scelta diplomatica, complicata dalle sconfitte di Custoza e di Lissa, subite dagli italiani, che imposero il farraginoso processo della cessione del Veneto dall'Austria alla Francia e dalla Francia al Regno d'Italia, nato nel 1861. Il Plebiscito del 21 e 22 ottobre 1866 venne dunque a ratificare una cessione già avvenuta per via diplomatica, e infatti si stampò sulla scheda elettorale una formula che non ammetteva alternative.