Di fronte a quella che spesso sembra una rivolta degli elementi naturali, stiamo affrontando la sfida della crisi climatica e del degrado territoriale con le armi spuntate di sempre: grandi opere e interventi pesanti su fiumi e montagne. Ma è la risposta giusta? A giudicare dai risultati sembrerebbe di no, non soltanto perché le grandi opere hanno bisogno di grandi quantità di denaro che spesso manca, ma soprattutto perché, dove pure sono state messe in atto, non hanno funzionato e non funzionano come ci si aspetterebbe. Naturalmente qui non parliamo delle piccole opere o della manutenzione ordinaria e straordinaria, quelle opere occorrono, ma sapienti, puntuali e nel contesto di interventi dolci (ingegneria naturalistica, qualcuno la chiama). Qui parliamo di grandi dighe, muraglioni di contenimento, briglie, sbancamenti e uso fuori misura del cemento: di quello non abbiamo bisogno perché non funziona e, anzi, peggiora la situazione. L'Italia è un Paese geologicamente giovane e molto attivo, caratterizzato per larghissima parte del suo territorio da un forte dissesto idrogeologico. Se questa è la situazione, qual è il ruolo dell'uomo? O, più precisamente, esistono, da parte dell'uomo, comportamenti virtuosi che possono tamponare le manifestazioni della natura e, al contrario, comportamenti sbagliati che peggiorano condizioni già di per sé fragili?