Tutto è cominciato più di vent'anni fa, in un altro secolo in cui la globalizzazione felice prometteva benessere crescente e illimitato per tutti e per sempre. Allora si pensò di scavare, in una montagna piena di amianto e di uranio, una galleria di oltre 50 Km, per far correre tra Torino e Lione un treno capace di trasportare una quantità crescente di persone e di merci in tempi sempre più ridotti. L'opposizione di una valle, preoccupata della salute propria e dei propri figli, bloccò l'opera e impose rilevanti modifiche del progetto originario. Da allora il mondo è cambiato. Ci si è accorti che la linea ferroviaria storica sarebbe in grado di garantire il flusso ferroviario di merci attraverso il confine con la Francia e di assorbire l'intero traffico su gomma. Poi è arrivata una crisi economica devastante e a molti è parsa scandalosa una spesa di miliardi di euro per un'opera di dubbia utilità. E l'opposizione di una valle è diventata un movimento nazionale unito dalla convinzione che un mondo diverso è possibile. Perché tutto questo è chiaro a qualsiasi anziano di Venaus, a ogni ragazzo accampato al bivacco di Clarea, a ogni casalinga di Bussoleno, ma viene ostinatamente ignorato dai "decisori" centrali, dai politici di lungo corso, dagli addetti all'informazione nazionale? Forse perché sul "caso TAV" convergono e si intrecciano un po' tutti i sintomi che caratterizzano l'attuale male oscuro delle nostre democrazie, le cause della loro difficilmente curabile anemia.