Siamo creature strane, noi lettori. Passiamo ore e ore immersi dentro parallelepipedi di carta, respirando vite che non sono la nostra, soffrendo e gioendo per le emozioni di estranei immaginari. Eppure, come per un incantesimo, quelle vite e quelle emozioni misteriosamente ci appartengono. La lettura è l'«Apriti, sesamo» che ci dà accesso a una caverna traboccante di tesori. Meglio di ogni altro lo aveva capito Marcel Proust. Nei primi anni del Novecento cominciò a tracciare del lettore, e del proprio essere lettore, un ritratto nuovo. Chi ha appreso l'arte di leggere non la eserciterà solo sulla carta, ma anche sul mondo - sulle persone, sugli amori, sui casi della vita. Si esporrà così a tutte le gioie, ma anche a tutti i rischi insiti nell'«atto psichico originale chiamato lettura»: le incomprensioni, gli equivoci, le interpretazioni deliranti, le palpitazioni della suspense. L'incantesimo della lettura felice può trasformarsi allora in un tormentoso sortilegio. Più di un secolo dopo, partendo dalle Giornate di lettura proustiane, Guido Vitiello torna a riflettere sul mestiere a tempo pieno del lettore. In un dialogo fittissimo con il suo fantasmatico interlocutore - che spesso interrompe, incalza e contraddice - cerca di rispondere a una domanda che lo assilla, e che ci assilla tutti: che ne sarà della lettura in un'epoca in cui tutto cospira a distrarci dalle pagine?