"Che fra i cronisti francesi del Medioevo Villehardouin sia da considerarsi il politico, il realista per eccellenza, è idea manualisticamente diffusa e avallata dalla nettezza del suo racconto - che non indulge mai alla descrizione, al pittoresco - e dalla sobrietà del suo dettato, spoglio di ogni artificio [...]. Detto questo, è già detto anche che non siamo in presenza di un testo anodino, di un racconto puro e semplice, scritto per il solo piacere del narrare, bensì di un'esposizione fatta a ragion veduta e con uno scopo ben preciso: una sorta di risposta ad un processo che si immagina intentato contro i crociati del 1202, che mancarono completamente il loro scopo, o meglio quello che si considera per definizione lo scopo di una crociata. [...] Questa quarta crociata è infatti tipica della risoluzione del fatto ideologico-mistico in un fatto di conquista e colonizzazione. Occorreva in qualche modo giustificare l'allentamento dell'idea-forza, della tensione alla liberazione del Santo Sepolcro, legittimare questa nuova fisionomia della crociata latina [...]. Questo è dunque l'impegno che Villehardouin assume: dimostrare che questo contegno era il solo possibile, farsi avvocato difensore dei crociati e fornire loro una giustificazione politica. [...] Concetto d'onore, reciproca fedeltà d'armi e sentimento cristiano sono i princìpi che governano la sua narrazione e sorreggono il suo giudizio: in base ad essi, ci dice Villehardouin, lo svolgimento della crociata non poteva essere che quello che fu. Il racconto che ne esce è teso, essenziale: da questo suo angolo visuale di avvocato difensore, Villehardouin ha una visione prospettica degli avvenimenti di cui, tralasciando l'occasionale, coglie le coordinate lineari: il suo assunto costituisce il punto di fuga unico in fondo al suo quadro." (dallo scritto di Fausta Garavini)