«La fede nei grandi destini delle anime». Una fede che si fa "pensiero della differenza" femminile, riscoperta e cura dell'essenziale. Avrebbe potuto citare martiri e santi, teologi e dottori della Chiesa, e invece Matilde Serao sceglie ancora una volta le donne. Una madre che «avrebbe l'autorità, ma preferisce l'indulgenza», una «creatura gracile e silenziosa», una figura fiera e orgogliosa rinnovatasi in un'«anima che vale quella di tutti gli apostoli»: sono Le Marie gli esempi di un proselitismo «primitivo, iniziato nella semplicità della coscienza e sotto la forma candida e buona dell'amor mistico», che l'oratrice propone al variegato pubblico delle sue conferenze. E Santa Teresa. Un modello che Serao pare avere ben presente nella ricerca spirituale che la tocca nel profondo a un certo punto della sua esistenza: «Ella non ama come i grandi passionali, senza giudicare: ella ama, come tutti i grandi innamorati, dopo aver giudicato». E, cogliendo il senso di una parola che all'epoca nemmeno esisteva nell'uso comune - resilienza - la scrittrice e giornalista sembra parlare a noi oggi, in un tempo di materialismo dilagante, egoismo distaccato e rigetto sterile della sofferenza propria e altrui: «Fecondiamo il dolore! Facciamone della forza operosa ed utile; facciamone della bontà giudiziosa ed efficace; facciamone dell'affetto gentile e securo; facciamone del lavoro oscuro, ma necessario; facciamone del lavoro grande ed imperituro!». Con undici lettere inedite di Matilde Serao alla figlia Eleonora.